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NOI E “GLI ALTRI”: NECESSITA’ DI UN’AUREA MEDIOCRITAS ALLA BASE DELLA CONVIVENZA CIVILE
“Multietnicità” è un concetto che può apparire minaccioso, dal momento che l’incontro tra etnie e culture diverse non è mai stato facile. In un mondo sempre più caratterizzato da mescolanze di popoli differenti pensare ad un’Italia non multietnica è pressoché paradossale. L’Italia della famiglia, della scuola, dello sport è già multietnica. Premessa e promessa di reciproco arricchimento nel rispetto delle regole della nostra nazione e della comunità europea.
Una società multietnica implica la convivenza di persone appartenenti ad etnie diverse all’interno di uno stesso Paese. Strettamente collegato al concetto di “multietnicità” è quello di “multiculturalità”, ovvero una compresenza a livello nazionale di più culture. Un fattore in primo luogo responsabile dell’incontro tra etnie e culture è il fenomeno migratorio, che comporta uno spostamento di persone da un territorio ad un altro e che è determinato da ragioni varie, come lavoro o politica, ma in generale per necessità di vita.
La migrazione, storicamente radicata, non si riferisce tuttavia solo alle vicende degli spostamenti (passati e attuali) di gruppi etnici, ma anche a quella migrazione di elementi e complessi culturali che vengono gradualmente trasmessi in seguito al contatto tra popoli.
Nell’ambito della migrazione, l’Italia si trova ad essere da decenni nella posizione di Paese “ricevente”, poiché accoglie un continuo flusso di persone che emigrano dalla terra d’origine per necessità politiche o economiche, lasciando nella maggior parte dei casi una situazione di squilibrio nella speranza di trovare qui un quanto meno discreto benessere.
Dunque il nostro Paese, che attualmente contra tra il 5 e il 7% di immigrati stranieri presenti sulla popolazione, non può fare a meno di essere un meltin-pot sempre più corposo di etnie e culture variegate.
Il tema dell’immigrazione nella nazione, e di conseguenza i temi di multietnicità e di multiculturalità che ne derivano, dominano l’attenzione degli italiani e delle istituzioni che li rappresentano, tanto da essere oggetto di un acceso dibattito politico, sociale ed economico. Piuttosto frequente è un approccio al fenomeno in chiave negativa e pessimistica: spesso per mire politiche se ne enfatizzano i tratti meno felici (come la clandestinità e la criminalità che possono conseguirne), facendo leva su timori e disagi diffusi e alimentando così discriminazioni e pregiudizi nel nostro modo di pensare e di vedere gli “altri”. Non manca tuttavia una lettura più positiva e più ottimistica, che punta sul dialogo e sulla possibilità di stabilire un ragionevole equilibrio tra noi e gli stranieri immigrati, incentivando l’integrazione.
Nell’approccio a tali tematiche risulta particolarmente interessante ed indicativa la scelta lessicale che viene fatta per connotare il fenomeno. Sia all’interno del dibattito politico sia nei confronti privati sul tema ricorrono termini diversi dalla cui selezione traspare la diversa percezione che si può avere di un fenomeno tanto complesso e allargato.
Tra le connotazioni utilizzate, la più neutra è di certo quella di “migrante”, che indica colui che lascia in via definitiva o temporanea il luogo di origine per stabilirsi altrove, mosso da ragioni varie ma essenzialmente per necessità di vita. Nello specifico, si definisce emigrante chi espatria per recarsi in un’altra nazione, mentre è immigrante chi, avendo lasciato la terra natale, è entrato per stabilirsi in un’altra nazione. Rientrano dunque nella categoria dei migranti in Italia (o in altri stati) gli stranieri che hanno espatriato o per iniziativa privata o perché costretti dalle circostanze (spesso una situazione di dislivello) e si stabiliscono qui, dove è stato loro assicurato (o cercheranno di ottenere) un lavoro stabile, dove non saranno (o quanto meno sperano di non essere più) afflitti da condizioni sociali precarie, dove potranno coronare un amore o fare carriera: è immigrato l’architetto che da New York si trasferisce in uno studio a Roma, lo è l’algerino che fugge un’esistenza disperata in cerca di fortuna; è immigrato il noto sportivo della TV, lo è il mio nuovo compagno di scuola o la fidanzata del mio amico.
Accanto ad una terminologia più neutra ne sopravvive una che è invece più carica di sfumature.
Un termine ricorrente ma del quale si fa spesso un uso scorretto è “extracomunitario”. Correttamente esso designa persone esterne all’unione europea, ma è frequente la tendenza ad impiegarlo in modo impropriamente generalizzato, di solito aggiungendovi sfumature di pregiudizio. Ad esempio, si definiscono extracomunitari gli immigranti nel nostro stato da Paesi che, pur essendo europei, si tende inconsciamente a non pensare ad essi come tali poiché non rispondono a quell’idea precostituita di Europa progredita e benestante che abbiamo in mente, bensì trattasi nella maggior parte dei casi di contesti precari e poco sviluppati. Una parola irrevocabilmente negativa e che inevitabilmente spesso si associa all’immigrato è “clandestino”. Il clandestino è in generale colui che si trova ed opera in una situazione irregolare, senza l’approvazione dell’autorità o contro il divieto delle leggi vigenti. Parlando dell’Italia, la piaga della clandestinità da decenni costituisce una percentuale importante all’interno del fenomeno dell’immigrazione, tanto che anche dalle passate legislature i vertici del potere stanno cercando di disciplinare il problema. Ad un ritmo quasi quotidiano enormi masse di emigranti in cerca di fortuna approdano sulle coste dell’Italia meridionale a bordo di imbarcazioni precarie e sovraccariche, lasciando alle autorità il compito di predisporre un sistema di accoglienza (anche temporaneo). Al loro arrivo vengono convogliati in centri di ospitalità in attesa che sia determinato il loro destino, che nella maggior parte dei casi coincide con l’espulsione. Chi riesce ad eludere i controlli si mette inevitabilmente sulla strada dell’illegalità: essendosi introdotto illegalmente nel Paese non possiede permesso di soggiorno e questo lo costringe ad una vita emarginata e precaria, vissuta alla giornata e inevitabilmente all’insegna di crimini più o meno gravi.
Molti politici, spesso più a salvaguardia di interessi propri che di un benessere comune, vedono di buon occhio il respingimento dei flussi clandestini, pertanto fanno leva proprio sul disagio diffuso da questa criminalità per crearsi un consenso. Nel fare ciò, essi tendono ad enfatizzare il problema, così da alimentare il pregiudizio (in particolare l’equazione “immigrazione=delinquenza”) e il timore verso gli immigrati; il risultato che ne consegue è una sempre più diffusa diffidenza verso gli “altri”, quindi un netto rifiuto della multietnicità e della multiculturalità. Come anticipato, non mancano tuttavia letture positive o quanto meno ottimistiche del fenomeno, dalle quali deriva un ragionevole tentativo di disciplinare il problema nella direzione di un punto di equilibrio tra valori ed interessi che sembrano inconciliabili. Questa seconda chiave di lettura del problema comporta una progressiva accettazione della multietnicità e della multiculturalità in Italia, quindi sgorgherebbe in interscambi positivi tra noi e gli stranieri ( siano essi immigrati, emigrati, extracomunitari o clandestini).
D’altra parte bisogna essere realisti; l’immigrazione è un fenomeno storico, che si è manifestato nel passato, che esiste nel presente e che continuerà anche nel futuro: l’Italia non ha potuto, non può e non potrà rimanere esclusa. Di fronte alla inarrestabilità del fenomeno, anche il nostro Paese deve inevitabilmente imparare ad accettarlo e quanto meno a convivere con esso (accogliendo perciò i fattori conseguenti di multietnicità e di multiculturalità). Dunque, se trionfasse la ragionevolezza sull’emotività non sarebbe difficile trovare, sulla base del rispetto reciproco e di interscambi positivi tra interessi e valori differenti, quel punto di equilibrio all’interno della multietnicità che farebbe dell’Italia una nazione serenamente multiculturale.
In tutto questo è ovvio però che anche lo straniero debba fare la sua parte: il rispetto delle leggi e delle abitudini del popolo ospitante in favore della propria integrazione.
Francesca Fastigari della facoltà di lettere e filosofia dell'Università Statale di Milano
Nerviano, 10 maggio 2010
Buongiorno a Lei Francesca,
grazie per l'articolo, ho la stampante fuori uso, appena posso lo stampo, lo leggo bene e Le dico il mio parere, per ora mi sembra un po’ lunghetto e con le premesse che le avevo anticipato per via della Onlus, lo inserisco nel Blog de IL MILANESE.
A presto e mi saluti il suo Prof.
x acr-onlus sergio dario merzario
http://www.acraccademia.it/Il%20Baggese%20pag%201.html
http://www.acraccademia.it/
Buongiorno,
sono Francesca Fastigari, la studentessa di lettere che ha incontrato lo scorso venerdì presso la mensa dell'università Statale. Grata della piacevole conversazione e dei suoi suggerimenti in merito al giornalismo e agli studi in generale, accolgo la sua gentile proposta inviando in allegato l'articolo di cui le avevo accennato. Sarebbe per me importante ricevere un suo commento in proposito.
Grazie per la disponibilità.
Cordialmente,
Francesca Fastigari
francescafastigari@yahoo.it
francesca.fastigari@studenti.unimi.it
SONO GRADITI I COMMENTI DEI COLLABORATORI E DEI LETTORI
info@acraccademia.it
sergio.merzario@acraccademia.it
"..i volontari x la parola ai cittadini x il 2018! Non pretendiamo che le cose cambino, se poi continuiamo a fare le stesse cose". Rio e Repo dicono che.'e lo scriveva A. Einstein! OCCORRE CAMBIARE .. dice ACR-CRV!.. e Onlus di fatto tu lo sai! Se ami una persona.. pensala.. non ignorarla.. la perdi, ricorda ..sai che la parola spinge..ma, l'esempio .. trascina! Ciao .. NO AL BULLISMO e SALUTE .. sai che mi manchi, abbi fiducia!.. sono rose? non mi pare! DA..RIO .. CMQ eri Unica! Ora? Chissa!
.. una VITA contro il bullismo!
Missione: “Oscar "NO AI BULLISMI con un aiuto CONCRETO ai GIOVANI" di Crv-ACR -Onlus di fatto
https://www.acraccademia.it/Il%20Triangolo%20Lariano%20pag%201.html
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