Cari LETTORI e Amici/Compagni ...dal collega, compagno, amico e collaboratore, volontario di acr LUCIANO LUNGHI...Caro Sergio, questa volta Ti invio un documento che è la fine del
mondo.
Fallo conoscere a tutti. Specie ai comunisti che ora sono in braghe di tela
con Berlusconi. La stotria ci parlerà anche degli avvenimenti odierni:
Ciao. Luciano
(Grazie a FILIPPO TURATI fondatore del PSI) !
Fallo conoscere a tutti. Specie ai comunisti che ora sono in braghe di tela
con Berlusconi. La stotria ci parlerà anche degli avvenimenti odierni:
Ciao. Luciano
(Grazie a FILIPPO TURATI fondatore del PSI) !
Grazie.. a Te LUCIANO, che sei MEGA.. eccolo pubblicato.. è VERAMENTE di PORTATA STORICA... poi lo mettiamo sul giornale di Roma!
il direttore., di ACCADEMIA-ACR e CRV Sergio Dario Merzario
Fraterni saluti..( ce ne vorrebbero di collaboratori.. così.. disinteressati e sinceri..)
Fraterni saluti..( ce ne vorrebbero di collaboratori.. così.. disinteressati e sinceri..)
.................................................................
.. la rivincita STORICA...
di.. FILIPPO TURATI
Relazione al Congresso di Livorno
Del PARTITO SOCIALISTA ITALIANO
Discorso tenuto il
19 Gennaio 1921
Da ricordare che fin dal 1917,
dopo la vittoria del comunismo in russia i nostri massimalisti non guardavano
ad altro, all’infuori di quell’esempio.
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Presidente
(Argentina Altobelli) - Ed ora
la parola è a Filippo Turati per la sua annunziata dichiarazione. (Mentre l’On. Turati muove verso la tribuna degli oratori, tre quinti dei congressisti scattano in piedi prorompendo in un vivissimo applauso.
Qualche voce isolata grida: Viva la Russia!; ma piu’ numerose sono le grida di:
Viva il Socialismo! Turati appare alla
tribuna e gli applausi non cessano
ancora. Ristabilito alfine il silenzio, egli può incominciare il suo discorso).
Testamento e fatto personale
– Contro un’idolatria a rovescio
TURATI – Compagni amici e
compagni avversari ( non voglio, non debbo dire nemici). A Bologna, un anno fa , in un discorso che
fu molto contrastato, che forse ebbe tuttavia qualche conferma dalla successiva vicenda dei fatti, parlando
( è ormai quasi il mio destino) come un imputato davanti un tribunale di
guerra, io vi pregavo di accogliere le mie parole come un testamento. Senza avere la sciocca presunzione di voler
aggiungere con ciò lugubre solennità alle mie parole, non debbo farvi oggi
diversa dichiarazione.
Dovrei, anzi,ringraziare il Partito ed il Congresso
che mi hanno lasciato quest’altro anno
di vita.Un tribunale rivoluzionario che non vi uccide di schianto, ma vi lascia
ancora qualche respiro , è un tribunale mite . . . al quale si deve professarsi . grati. (Ilarità) Perciò invoco un’altra volta dalla vostra cortesia una benevola
attenzione. In fondo nessuno di voi ha interesse ad interrompermi. Non lo hanno specialmente quei compagni che
piu’ desiderano condannarmi: costoro hanno tutto l’interesse- perché la
condanna abbia almeno apparenza di
giustizia – di ascoltarmi. Senza dire
che ai piu’ bolsevichi fra voi non dovrebbe piacere una confessione fatta alla
russa, a voce alta, nel tempio del Partito. Non ho alcuna intenzione, d’altronde, di
urtare i sentimenti di chicchessia; e se voi stessi non prolungherete il mio
discorso con troppe interruzioni, per
qualche parola o frase mal detta o male intesa, io vi ruberò poco piu’ di
mezz’ora.
Invero o ch’io parli per fatto personale, o per una anticipata
dichiarazione di voto, non è il caso davvero, per me, di un lungo discorso ; non per fatto
personale, perchè sebbene in un certo
senso tutto questo congresso sia un po’ il mio processo (anche a
prescindere dal processo speciale pel
quale la Sezione d’accusa del Partito mi
rinviò a questa corte d’assise, ma che, forse per l’angustia del tempo non pare
che sarà celebrato con tutti i
riti), debbo tuttavia constatare che
gli stessi oratori, che mi hanno accusato
mi hanno al tempo stesso, anche difeso. E poi – consentitemi questo innocuo orgoglio - io so che essi sentono che la mia difesa
personale, piu’ ancora che nelle mie parole, è in me stesso.
Io dunque non avvilirò il congresso, occupandolo in minuzie che
interessino sopra tutto il mio amor
proprio personale. Che io abbia usato,
oppur no, in alcuni scritti o discorsi, qualche frase piu’ o meno opportuna,
che io sia magari caduto , come dicono sorridendo gli amici, in qualche
infortunio sul lavoro (io sostengo di no, e rivendico anzi i pretesi miei infortuni come il maggior
documento della mia sincerità e della
mia devozione al Partito): tutto ciò ha ben poca importanza e proverebbe solo
che io ho lavorato. (Commenti). Eh! Si! Gli infortuni sul lavoro non
avvengono ai critici inerti, a coloro che non si prestano alla rude fatica . . (.Voci:
Bene, Bravo! . . . ).
Tutto questo – ripeto
- ha una ben misera
importanza per chi non si crei, negli uomini, degli idoli, dei
feticci personali.
Se il nostro partito è un partito di
classe, se l’azione nostra è azione di storia, gli errori (forse pure) di un uomo non possono
scalfire che l’epidermide. Amici, abbattete tutti gli idoli e tutte le idolatrie; anche quella idolatria
alla rovescia, che consiste nel sopravalutare il danno di frasi e di atti di
Tizio o di Caio, di Turati o di Serrati, o fosse pure di Marx o di Lenin. (Commenti). La forza del Partito, se
esiste, non è in determinati uomini ma nella coscienza del gran numero dei suoi
componenti. Alla pattumiera dunque
tutte queste quisquilie e leviamoci
piu’ alto, molto al di sopra delle
persone (approvazioni vivissime).
PER
DICHIARAZIONE DI VOTO LA MOZIONE DI REGGIO EMILIA E L’UNITA’ DEL PARTITO
E neppure esige un lungo discorso la mia anticipata
dichiarazione di voto. Nel discorso di Baldesi
e di Vacirca, in quello stesso di Lazzari ( che – a dir vero – mi ha trattato un po maluccio, al quale però sono grato per aver nelle sue
parole sentito pulsare quel senso di
profonda umanità che si direbbe inaridito
nella secca e puramente cerebrale dialettica dei teorici nuovo stile), c’era
piu’ di quanto bastava per persuadere tutti quelli che possono essere persuasi,
o almeno per indurli a dubitare e
pensare. Quanto a quelli, la cui mente
è fasciata dal partito preso settario, sono vani i nostri discorsi. Per essi
conviene atendere la spontanea evoluzione
degli spiriti, che non giova sforzare.
Ora questa evoluzione degli
spiriti è senza dubbio in cammino . . . (commenti
vivissimi).
Non vi offenderete, spero , se dico bene di voi. Io ho constatato, tutti
del resto abbiamo constatato, negli stessi discorsi dei compagni avversari , di
quelli che piu’ sono prigionieri di se stessi e della loro tesi di ieri, la
prova evidente che cotesta evoluzione
procede rapidamente. Ah! Quanta
differenza fra le avventate proclamazioni
e previsioni di Bologna ed i cauti e ponderati discorsi degli estremisti
e massimalisti di questo congresso! (Commenti,
rumori - Una voce: Serrati!).
TURATI – Non voglio fare personalità. Riferisco
un’impressione generale. Voi non ve ne avvedete, ed è naturale. Ma voi correte
verso di noi con la velocità di un
treno lampo. Quando la mentalità di guerra (il cui formarsi non fu colpa di
nessuno) sarà evaporata, quando quelli che con frase felice, Serrati definì il socialismo di guerra e la psicologia dei
combattenti, saranno esauriti, allora –
la riflessione e la esperienza aiutando
– l’unità del Partito, che si ha oggi da tal’uni in così grande dispregio, la unità piu’ organica e piu’ vera, tornerà
a trionfare. Ecco in che senso - pure
constatando i dissensi inevitabili, che
non giova coprire ne attenuare, che giova anzi denudare ed analizzare, poiché la critica è necessaria al pensiero
ed alla vita dei partiti – noi rimaniamo fermamente unitari.Ecco, perché io stesso, che passo (non importa se a torto
o a ragione) per essere il piu’ destro dei destri, io stesso mi unisco con tutto il cuore alla mozione di Reggio
Emilia, che quì vi ripresentiamo
malgrado certe concessioni e
transazioni, o – diciamo pure – ambiguità che essa contiene, dovute ad un
onesto opportunismo di partito, al desiderio cioè di venire un po’
incontro ad altri compagni, per
realizzare con essi una salda e reale
unità. (Approvazioini, commenti).
NELLA
DOTTRINA: SOCIALISMO E COMUNISMO E LA CONQUISTA PROLETARIA DEL POTERE
Compagni! Due sole note io toccherò in questo breve discorso: l’una
dottrinale e l’altra pratica. Sul
terreno dottrinale io rivendico sommariamente il mio ed il nostro diritto di cittadinanza nel Socialismo, che è il Comunismo; che non è il Socialismo Comunista o il comunismo socialista,
perché in queste espressioni artificiose
e ibride l’aggettivo scredita il sostantivo o il sostantivo rinnega
l’aggettivo.
Il Comunismo ebbe due sensi nella storia
del movimento dei lavoratori : o fu il comunismo critico di Marx e di Engels,
contrapposto, per ragioni tutte
tedesche e transuenti ai vari falsi socialismi (feudale, filantropico ecc.),
socialismi tutti quanti antirivoluzionari
i quali da un pezzo ed ovunque sono oggi superati; oppure fu il
comunismo ideologico nella previsione della futura società, il quale alla
formula del collettivismo (a ciascuno
secondo il suo lavoro, salvi –sintende – i diritti di assistenza per gli
invalidi, per i vecchi, per i bimbi), sostituiva l’altra “ a ciascuno secondo i suoi bisogni”,
formula applicabile soltanto, come è evidente, ad una società molto piu’ progredita, in cui sia esuberanza
di produzione, e ciascuno possa “ prendere nel mucchio” a suo piacimento : due formule, dunque, che rispondono a una
successione di fasi sociali piu’ che a una opposizione di concetti o di
sistemi.
Compagni! Questo Comunismo, che
si chiamò poi Socialismo, può anche espellermi dalle file di un Partito,
ma non mi espellerà mai da se
stesso; perché francamente , compagni
(attribuitelo al malinconico privilegio dell’anzianità, non ad un nostro merito
personale), questo Socialismo, questo Comunismo non soltanto noi lo abbiamo
imparato nella giovinezza, ma lo abbiamo in Italia, per lunghi anni, insegnato
alle masse e ai partiti d’avanguardia,quando questi lo ignoravano, lo avevano
in sospetto. E’ così che io, con altri
pochissimi, in un tempo che i giovani non possono ricordare, abbiamo portato nelle lotte proletarie italiane precisamente
questa finalità suprema: la conquista del potere da parte della classe
proletaria, costituita in partito indipendente di classe.
Questa conquista del potere, che Terracini enunciava ieri come un
carattere distintivo fra la sua e la nostra frazione, fra il programma
antico e il programma cosiddetto nuovo,
che egli confessò essere tuttavia in faticosa elaborazione, è niente altro che,
da 30 anni ormai, e proprio per opera
nostra, il glorioso programma del partito socialista (applausi, commenti).
Io posso perciò amichevolmente sorridere
ad una novità di una pretesa scoperta, nel cui nome ci si vorrebbe condannare,
mentre fu l’anima della nostra vita da quando incominciammo a pensare (approvazioni).
QUEL CHE VERAMENTE CI DISTINGUE
…..Ma non è questo che oggi ci distingue.
Ciò che ci distingue non è la generale ideologia socialista – la questione del
fine e neppure quella dei mezzi (lotta di classe, conquista del potere
ecc.); - ma la valutazione della maturità
della situazione e lo apprezzamento del valore di alcuni mezzi episodici. Primo
fra questi la violenza, che per noi
è, e non può essere , programma, che alcuni accettano soltanto a metà (unitari
comunisti o viceversa).
Altro punto di distinzione è la dittatura del proletariato , che per noi, o è dittatura di minoranza, ed allora è
anche dispotismo, il quale genererà
inevitabilmente la vittoriosa
controrivoluzione, o è dittatura di maggioranza, ed è un evidente non senso,
una contraddizione in termini poiché la maggioranza è la sovranità legittima,
non può essere la dittatura.
Terzo punto di dissenso è la coercizione del pensiero , la
persecuzione, nell’interno del Partito, l’eresia, che fu l’origine ed è la vita
stessa del Partito, la grande sua forza
salvatrice e rinnovatrice, la garanzia che esso possa lottare contro le forze
materiali e morali che gli si parano di
contro. Ora tutti e tre questi
concetti si risolvono poi sempre in un
solo: nel culto della violenza, sia esterna sia interna, e hanno tutti e tre un presupposto, nel quale
è il vero punto di divergenza
tra noi: la illusione che la rivoluzione sia il fatto volontario di un giorno o di un mese, sia l’improvviso
calare di un scenario o l’alzarsi di un
sipario, sia il fatto di un domani o di un posdomani del calendario; mentre la rivoluzione sociale non è un fatto di un giorno o di un mese, è il fatto di
oggi, di ieri e di domani, è il fatto di
sempre, che esce dalle viscere
della società capitalista, del quale noi creiamo soltanto la consapevolezza, e
così agevoliamo l’avvento; mentre nella rivoluzione ci siamo; e matura nei
decenni, e trionferà tanto piu’ presto, quanto meno lo sforzo della violenza,
provocando prove premature e suscitando reazioni trionfatrici ne devierà ed
indugerà il cammino. Ond’è che per noi gli scorcioni sono sempre la via piu’
lunga, e la via che altri crede piu’
lunga, è stata e sarà sempre la piu’ breve. La evoluzione si confonde nella
rivoluzione, è la rivoluzione stessa, senza sperperi di forze, senza delusioni
e senza ritorni.
Ecco perché il concetto lumeggiato dal compagno Serrati alla fine
del suo discorso, secondo il quale, in omaggio alla disciplina (la quale, ragionevolmente intesa,noi
accettiamo senza riserve e senza ipocrisie, con perfetta dedizione ed
immolazione alle necessità del
partito), noi dovremmo, oggi piu’ di ieri, sottometterci ed appartarci, questo
concetto deve essere inteso con molto grano di sale, al pari della formula
stereotipa della libertà del pensiero e della critica combinata con la assoluta
disciplina nell’azione (commenti). Ma quando, in un Partitio come il nostro, incomincia l’azione?
Quando finisce? Per chi crede al
trapasso taumaturgico, l’azione è di un
momento; e allora si comprende la sottomissione passiva dei dissenzienti, se la loro coscienza non permette loro l’attiva cooperazione.
Ma se l’azione si spiega nei decenni, se la rivoluzione non è il fatto di un istante, ma il frutto di una
lenta e faticosa conquista,allora,
compagno Serrati, chi si sottomettesse sistematicamente e rinunziasse per un tempo indefinito alla parola ed al pensiero, evidentemente
rinnegherebbe se stesso; e io non credo che voi abbiate nessun
interesse ad avere dei rinnegati tra
voi
(approvazioni) . Sarebbe questo il
maggiore tradimento che, per ipocrisia, per vanità o per utile personale, si possa fare al partito.
IL SOCIALISMO E LA VIOLENZA
Questo culto della violenza , che è un po’ negli incunaboli di tutti i partiti nuovi, che è
strascico di vecchie mentalità che il
Socialismo marxista ha disperse, della vecchia mentalità insurrezionista ,
blanquista, giacobina, che volta a volta sembra tramontata e poi risorge di
nuovo, e a cui la guerra ha ridato un enorme rigoglio, non può essere di fronte
alla complessità della lotta sociale moderna, che una riviviscenza morbosa ed
effimera.
Organicamente la violenza è propria del capitalismo, non può essere del
socialismo. E’ propria delle minoranze che intendono imporsi e schiacciare le maggioranze che vogliono e
possono, con le armi intellettuali e con i mezzi normali di lotta, imporsi per legittimo diritto La violenza è il
sostitutivo e il preciso contrapposto della forza. E’ anche un segno di scarsa fede nella idea che si difende, di
cieca paura delle idee avversarie. E insomma, in ogni caso, un rinnegamento,
anche se trionfi per un’ora, poiché apre
inevitabilmente la strada alla reazione
della insopprimibile libertà della coscienza umana, che ben presto diventa
controrivoluzione,
Che diventa vittoria e vendetta dei
comuni nemici. Questo avvenne sempre nella storia. Lo
stesso Cristianesimo, alle origini una grande idea-forza, che sommosse il
mondo, si afflosciò, tradì se stesso,
mancò completamente alla sua missione, quando volle appoggiarsi ai
troni, ai soldati ed ai roghi (applausi). Con la violenza che
desta la reazione, metterete il mondo
intero contro di voi. Questo è il nostro pensiero di oggi, di ieri, di sempre,
ma sopra tutto in periodo di suffragio universale; quando voi tutto potrete se
avete coscienza e, se no, nulla potrete ad ogni modo. Perché voi siete il numero e siete il lavoro, e sarete i
dominatori necessari del mondo di domani a un solo patto: che non mettiate con
la violenza, tutto il mondo contro di voi.Ecco il fondo del solo vero nostro
dissenso, che è oggi come di ieri, nel quale sempre insorgeranno e ci
differenziammo. E quando Terracini ci
dice, credendo coglierci in contraddizione: lanci la prima pietra chi in
qualche momento, nel Partito, non fece appello alle violenze piu’ pazze, io
posso francamente rispondergli: eccomi qua! Quella pietra io posso lanciarla (applausi vivissimi).
Si, a noi può dolere che questa mostruosa fioritura psicologica di
guerra ci divida fra noi, ci allontani tutti quanti dalla mèta, ci faccia
perdere anni preziosi, facendo involontariamente il massimo tradimento al proletariato, che noi priviamo
di tutte le enormi conquiste che potrebbe oggi conseguire, sacrificando alle nostre divisioni ed alle nostre
impazienze, suscitando tutte le forze della controrivoluzione. Si, noi lottiamo oggi troppo spesso contro
noi stessi, lavoriamo per i nostri nemici, siamo noi a creare la reazione, il
fascismo, ed il partito popolare.
Intimidendo ed intimorendo , proclamando (con suprema ingenuità anche dal punto di vista cospiratorio)
l’organizzazione dell’azione illegale, vuotando di ogni contenuto l’azione
parlamentare che non è già l’azione di pochi uomini, ma dovrebbe essere, col
suffragio universale, la piu’ alta efflorescenza di tutta l’azione, prima di un
partito, poi di una classe; noi avvaloriamo
e scateniamo le forze
avversarie che le delusioni della
guerra avevano abbattute, che noi avremmo potuto facilmente debellare per
sempre. Né, cari amici, vi sarà sempre
possibile ripararvi sotto il vecchio ombrello-Turati(ilarità vivissima).
Ma conviene rassegnarsi al destino, subire questa sosta. Le vie della
storia non sono facili. Noi possiamo cercare di abbreviarle, con sincerità,
sdegnosi di popolarità, facilmente accattate a prezzo di formule ambigue. E
questo noi facciamo e faremo, e con voi e fra voi, perche è il nostro preciso
dovere. Noi saremo sempre col Proletariato che combatte la sua lotta di classe.
Questo è l’imperativo categorico della nostra coscienza.
LA VIOLENZA E IL VERO MARXISMO
Noi siamo, come voi, figli del “Manifesto” del ’48. Soltanto che noi,
pur sentendoci figli di quel “
Manifesto” non lo seguiamo come un sistema che si elevi a dogma religioso, ma
criticamente, integrato da oltre sessant’anni di esperienza, corretto e
perfezionato, come fu, dai suoi stessi autori e dai loro interpreti piu’
autorizzati. Io citai, a Bologna, la celebre prefazione a Le lotte di classe in Francia di Marx, scritta dopo un cinquantennio, nel 1895, dal suo collaboratore e
continuatore piu’ fedele, Federico Engels; nella quale è come il coronamento di
tutta l’idea marxista.Dopo avere lamentato l’enorme salasso di sangue e di
forze che l’esperimento della Comune
parigina aveva costato, onde si ebbe in Francia per parecchi decenni l’anemia e
l’arresto del movimento proletario; dopo aver dimostrato come la tattica
rivoluzionaria abbia dovuto subire una profonda mutazione per effetto delle
conquiste del suffragio universale, e
chiarito come la violenza, che del resto anche nelle rivoluzioni del passato
ebbe una parte assai superficiale e apparente che profonda e reale, sia
diventata oggi, per tante ragioni,
anche tecniche, il suicidio del
Proletariato, mentre la legalità
è la sua forza e la sua vittoria sicura; “comprende ora il lettore –egli chiedeva -
per qual motivo le classi dominanti ci vogliono ad ogni costo trascinare colà dove spara il fucile e fende la sciabola? Perché ci si accusa
oggi di vigliaccheria, quando non scendiamo nelle strade, dove siamo in
precedenza sicuri della sconfitta? E
perché con tanta insistenza si invoca
da noi che abbiamo una buona volta da prestarci alla parte di carne da cannone?
Eh! No: non siamo così grulli!”.
Evidentemente il povero Engels peccava un tantino di presunzione, e –
almeno in quest’ultima fase - non
prevedeva con esattezza l’avvenire!
Ma già in molte delle monografie precedenti, in quelle magnifiche
monografie che sono come il compimento e il saggio di applicazione delle teorie
astratte, Marx, su questo tema della violenza, aveva corretto abbondantemente
il suo pensiero del 1848.
Baldesi vi ha citato un suo discorso del
’74 ad Amsterdam. Io vi rammenterò le
prefazioni alle varie successive edizioni e traduzioni del “Manifesto”, nelle
quali i due autori confessano apertamente di essersi ingannati nell’aver
sopravalutato le forze rivoluzionarie
proletarie (sono del resto le illusioni di tutti i giovani e di tutti i
partiti giovani, e per Marx erano state
concessioni inevitabili allo spirito blanquista dei tempi), e nelle quali
si ride delle congiure e della azione illegale sistematizzata. Potrei
ricordarvi ugualmente quel brano de “
la guerra civile in Francia nel 1870-1871”, in cui afferma che anche dalla Comune i lavoratori non
potevano aspettarsi dei miracoli: “essi sapevano che,per realizzare la loro
emancipazione e raggiungere così quelle forme superiori a cui tende la società moderna con tutte le sue forze economiche, essi avrebbero da
sostenere delle lunghe lotte e attraversare una serie di fasi storiche, che
trasformerebbero le circostanze e gli
uomini .Essi non avevano da realizzare l’ideale: dovevano soltanto sviluppare
gli elementi di un nuovo mondo che la vecchia
società in dissoluzione racchiude nel suo seno”. E rideva, verso la fine dello scritto – già
fin dal 1872 – dello spirito poliziesco dei borghesi, che si figura “
l’associazione internazionale dei lavoratori
che agisce alla maniera di un’associazione segreta con un Comitato centrale
il quale ordina a quando a quando a quando delle esplosioni nei diversi
Paesi “. Acquistate nell’atrito del teatro l’opuscolo
postumo di Engels, edito da Edoardo
Bernstein, I fondamenti del comunismo, e vedrete, alle pagine 15
e 19, quel ch’egli scriveva
circa la inutilità, anzi i danni dell’azione illegale, circa la gradualità in evitabile della trasformazione
economica e l’impossibilità di abolire la proprietà privata prima che sia
creata la necessaria quantità dei mezzi di produzione, e circa la necessità,
per l’esercito proletario, di proseguire ancora per molti anni “ con la lotta
dura e tenace da una conquista
all’altra”. Potrei moltiplicare le citazioni delle fonti, ma non è, purtroppo,
con dieci o cento citazioni che muterò
l’abito mentale dei dissenzienti
pertinaci. Bastino le poche che
ho fatte, per i compagni di buona fede, a dimostrare almeno da qual parte siano i veri eredi del vero
marxismo e che cosa debba pensarsi -
alla stregua di esso – del berg-
sonismo
sociale, del socialismo generato
dalla carestia, e di tutte le altre
decrepite novità che ci vengono oggi ammanite dall’estremismo che si
dice comunista. Fu unicamente il culto
di alcune frasi isolate da comizio(“ la
violenza levatrice della nuova storia” e somiglianti), avulse dal complesso
dei testi, e ripetute per accidia intellettuale, che in unione alle naturali ribellioni del sentimento, velò a troppi di
noi il fondo e la realtà della dotrina
marxista.
Quel culto delle frasi, in odio al quale il Marx amava ripetere che
egli, per esempio, “ non era marxista”,
e che a me – di cento cubiti piu’ piccolo - a udire le scemenze di certi pappagalli ,accadde di affermare
che io non sono turatiano (ilarità). Perché nessuna formula – neanche quella di Mosca – sostituirà
mai il possesso di un cervello, che, in contatto con i fatti e con
le esperienze, ha il dovere di funzionare.
LA VIOLENZA NELLA
STORIA DEL SOCIALISMO ITALIANO – UNA FACILE PROFEZIA
E vengo alla nota pratica della mia dichiarazione,
nella quale mi sarà concesso di essere
breve. Sul terreno pratico,quarant’anni
o poco meno di propaganda e di milizia
mi autorizzano ad esprimervi
sommariamente un’altra convinzione. Potrei chiamarla (se la parola non
fosse un po’ ridicola) una profezia, facile profezia e per me di assoluta
certezza. Vi esorto a prendere nota. Fra qualche anno - io non sarò forse piu’
a questo mondo – voi constaterete se la profezia si sia avverata. Se avrò fallito, sarete voi i trionfatori.
Questo culto
della violenza, violenza esterna od interna, violenza fisica o violenza morale,
che pretende forzare la mentalità, far camminare il mondo sulla testa ( Marx,
come sapete, correggendo Hegel lo mise sui suoi propri piedi), e che è
ugualmente antipedagogica e contraria allo scopo – non è nuovo, già lo dissi,
nella storia del socialismo italiano,
come di altri Paesi. Ed il comunismo critico di Marx e di Engels ne fu appunto
la piu’ gagliarda negazione.
Ma, per
fermarci all’arretrata Italia, che, come stadio di evoluzione economica, stà, a
un dipresso, di mezzo fra la Russia e la Germania, la storia dei nostri
Congressi, che riassume in qualche modo le fasi del Partito, storia (sorridete
pure del mio consiglio) che farete bene a leggere negli articoli pubblicati
nella Nuova Antologia del 1
e del 16 dicembre da un vostro avversario – onesto e di non comune
dottrina
E di assoluta obiettività – intendo l’On. Meda, Ministro
del Tesoro; quella storia dimostra a chiare note come cotesta lotta fra il
culto della violenza che pretende di
imporsi col miracolo ed il vero
socialismo che lo combatte,è stata sempre, nelle piu’ diverse forme, a seconda
dei momenti e delle circostanze,il
dramma intimo e costante del partito socialista. Ma il socialismo, in
definitiva fu sempre il trionfatore contro tutte le deviazioni e
caricature. Non è da opggi che noi
siamo i social-traditori . Lo fummo
sempre: all’epoca degli inizi, all’epoca degli scioperi generali politici,
degli scioperi economici a ripetizione, eccetera, eccetera. (voce
– bravo! Viva la sincerità!).
Turati – Sissignori! Il
“Partito operaio”, nel decennio 1880-189°, era già una reazione la
corporativismo operaio. E noi, che
volevamo farne un partito politico, eravamo guardati con sospetto, Nel
1891-92 il partito operaio si allargava
in Partito dei Lavoratori (che
s’ispirava a un concetto già piu’ ampio,in quanto abbracciava anche i
lavoratori del cervello) e piu’ tardi
a Reggio Emilia (1893), in “ Partito
Socialista dei Lavoratori Italiani “, per divenirefinalmente a Parma,
nel 1895, sotto i colpi della reazione
piu’ dura, il “Partito
Socialista Italiano”. Queste trasformazioni del nome esprimono appuanto il concetto della conquista del
potere, che noi introducevamo man mano nel programma che il partito aveva
tracciato, ai suoi inizi^ , programma di azione diretta, una specie di presovietismo
dell’epoca. Nel 1892
(Genova) esso culminò nella
violenta separasione dagli anarchici.
Ma non per ragioni ideologiche di pura filosofia. Forsechè dagli anarchici ci
divideva la diversa concezione di
quello che dovrà essere la società futura?
Ma neppure per sogno! Per un
avvenire lontano noi tutti possiamo
anche professarci anarchici, perché
l’ideale anarchico rappresenta - tecnicamente – un superlativo di
perfezione. Quel che ci divideva era
l’impazienza , la violenza, la improvvisazione. Molti anarchici, fatti riflessivi dall’esperienza e dagl’anni,
ritornarono poi nelle nostre file. Sono
note le vicende dal 1894 al 1898 . Nel 1904 imperversò il sindacalismo, coi
primi grandi scioperi generali, col labriolismo,
con lo sciopero agrario di Parma: era il sovietismo italiano di
quel tempo, e fu debellato al congresso
di Firenze nel 1908.
Oscillazioni, ritorni, transazioni, ce ne furono a josa. Venne poi il ferrismo ossia il rivoluzionarismo verbale, ossia
proprio quello, mutatis- mutandis , che è oggi il graziadeismo (ilarità); e venne la transazione integralista
dell’ottimo Morgari, che durò appena un paio d’anni sui palcoscenici dei nostri comizi (vivissime interruzioni).
Turati – Non pretenderete mica, spero, che io dica le
opinioni vostre. Vi esprimo francamente
le mie. Venne dunque l’integralismo, che, a dir il vero, in quel momento salvò il partito (onde noi
lo accettammo come meno peggio al Congresso di Firenze) e che fu
l’anticipazione dell’odierno Serratismo, del comunismo unitario, del socialismo
comunista, di quel socialismo che sta un po’ di qua e un po’ di la, sia pure per amore dell’unità, ma che reca nel
proprio seno la contraddizione insanabile (applausi
dei comunisti puri ) . Sono perfino
gli stessi tipi
antropologici e somatologici che rinascono e si
presentano. La guerra ha ridato una
giovinezza perfino all’anarchismo, che ha oggi in Italia un proprio giornale quotidiano. Ebbene, nella storia
del nostro partito l’anarchismo fu rintuzzato, il labriolismo…finì al potere, il ferrismo, anticipazione, come
ho detto, del graziadeismo (nuova ilarità),
fece le capriole che sapete,
l’integralismo stesso sparì e rimase il nucleo vitale: il marcio riformismo,
secondo alcuni, il socialismo , secondo noi, il solo vero, immortale,
invincibile socialismo, che crea
coscienze, Sindacati, Cooperative,
conquista leggi sociali utili al proletariato, sviluppa la cultura popolare
(senza la quale seremo sempre a questi
ferri, e la demagogia sarà sempre in auge), si impossessa dei Comuni,
del Parlamento, e che, esso solo, lentamente, ma sicuramente, crea la maturità
della classe, la maturità degli animi e
delle cose, prepara lo Stato di domani e gli uomini capaci di manovrarne il
timone.
Sempre social-traditori ad un modo, e sempre vincitori alla
fine. La guerra doveva rincrudire il fenomeno. La lotta sarà piu’ dura, piu’ tenace e piu’ lunga, ma la vittoria è
sicura anche questa volta.
BOLSEVISMO E INTERNAZIONALE
Fra qualche anno il mito russo, che avete il torto di
confondere con la rivoluzione russa, alla quale io applaudo con tutto il
cuore…(voce…Viva la Russia!).
Turati (continuando): …il mio russo sarà evaporato ed il
bolsevismo attuale o sarà caduto o si
sarà trasformato. Sotto la lezione
dell’esperienza (e speriamo che
all’Italia siano risparmiate le sanguinose giornate d’Ungheria, verso
cui la spinse inconsapevolmente) le vostre affermazioni d’oggi saranno da voi stessi abbandonate, i
Consigli degli operai e dei contadini (
e perché no dei soldati? avranno ceduto il passo a quel
grande Parlamento Proletario Italiano, al quale si alleerà il proletariato di tutto il mondo. Voi
arriverete così al potere per gradi.
(Dico,anzi, che noi ci siamo già; non si tratta che di saper valersene
e di avanzare). Avrete allora
inteso appieno il fenomeno russo, che è uno dei piu’ grandi fatti della storia, ma di cui voi
farneticate la riproduzione meccanica e
mimetistoica, che è storicamente e
psicologicamente impossibile, e, se possibile fosse, ci ricondurrebbe al Medio
evo. Avrete capito allora,
intelligenti come siete (ilarità) , che
la forza del bolsevismo russo è nel
peculiare nazionalismo che vi stà sotto, nazionalismo che del resto
avrà una grande influenza nella storia
del mondo, come opposizione ai congiurati imperialismi dell’Intesa e dell’America, ma che è pur sempre una forma di
imperialismo. Questo bolsevismo, oggi
– messo al muro di trasformarsi o
perire – si aggrappa a noi furiosamente,
a costo di dividerci , di annullarci, di sbriciolarci; sìingegna di
creare una nuova Internazionale pur che
sia, fuori dell’Internazionale e contro una parte di essa, per salvarsi o
per prolungare almeno la propria travagliata esistenza; ed è naturale, e non
comprendo come Serrati se ne meravigli
e se ne sdegni, che essa domandi a noi , per necessità della propria vita, anzi della vita del proprio governo, a noi che ci siamo fatti così supini, e che preferiamo esserne strumenti anziché
critici, per quanto fraterni, ciò che non oserà mai domandare né al socialismo
francese né a quello di alcun altro paese civile. Ma noi possiamo seguirlo cecamente, perché diventeremmo per l’appunto lo strumento di
un imperialismo eminentemente
orientale, in opposizione al
ricostituirsi della Internazionale piu’
civile e piu’ evoluta, l’Internazionale di tutti popoli, l’Internazionale
definitiva.
Tutte queste cose voi
le capirete fra breve e allora il programma,
che state ( come confessaste)
faticosamente elaborando e che tuttavia ci vorreste imporre, vi si
modificherà fra le mani e non sarà piu’ che il nostro
vecchio programma…
AZIONE E RICOSTRUZIONE
Il nucleo solido, che rimane di tutte queste cose caduche è l’azione: l’azione, la quale non è
l’illusione, il precipizio, il miracolo, la rivoluzione in un dato giorno, ma è l’abilitazione progressiva, libera, per
conquiste successive, obiettive e subiettive, della maturità proletaria alla
gestione sociale. Sindacati,
Cooperative, poteri comunali, azione parlamentare, coltura, ecc. ecc., tutto
ciò è il socialismo che diviene. E, o compagni, non diviene per altre
vie. Ancora una volta vi ripeto: ogni
scorcione allunga il cammino; la via
lunga è anche la piu’ breve … perché è la sola. E l’azione è la grande
educatrice e pacificatrice. Essa porta
all’unità di fatto, la quale non si crea con le formule e neppure con gli
ordini del giorno, per quanto abilmente congegnati, con sapienti dosature
farmaceutiche di fraterno opportunismo.
Azione prima e dopo la rivoluzione – perché dentro la rivoluzione - perché rivoluzione essa stessa. Azione pacificatrice, unificatrice.
Non è a caso che proprio dove
piu’ l’azione manca, perché non vi può
essere ancora – ad esempio, nel Mezzogiorno – ivi l’estremismo, il miracolismo
hanno maggior voga. Non è a caso che,
dove la organizzazione è piu’ forte, essi si attenuano e la Confederazione del
Lavoro
è e rimarrà sempre, per sua organica necessità, checchè voi
tentiate il contrario, col vecchio e vero socialismo.
Ond’è, che quand’anche voi aveste impiantato il
partito comunista e organizzati i Soviet in Italia, se uscirete salvi dalla reazione che avrete provocato e se vorrete fare qualche cosa che sia
veramente rivoluzionario, qualcosa che rimanga come elemento di società nuova,
Voi sarete forzati, a vostro
dispetto – ma lo farete con convinzione, perché siete onesti - a ripercorrere completamente la nostra via
dei social’traditori di una volta; e dovrete
farlo perché essa è la via del
socialismo, che è il solo immortale, il solo nucleo vitale che rimane dopo
queste nostre diatribe.
E, dovendo fare questa azione graduale, perché tutto il resto
è clamore, è sangue, orrore, reazione delusione; dovendo percorrere questa strada
voi dovrete fin da oggi fare
opera di ricostruzione sociale. Io sono quì oggi alla sbarra, dovrei avere
le guardie rosse accanto…(si ride), perché, in un discorso prununziato il 26 giugno alla Camera: Rifare l’Italia!, cercai di sbozzare il programma di ricostruzione sociale del nostro Paese. Ebbene leggetelo quel discorso, che
probabilmente non avete letto, ma avete fatto male (ilarità).
Quando lo avrete letto, vedrete che questo capo di imputazione, questo corpo di reato,
sarà fra breve il vostro, il comune programma .
(approvazioni). Voi temete oggi di ricostruire per la borghesia, preferite di lasciar crollare la casa comune, e fate vostro
il “ tanto peggio, tanto meglio!” degli anarchici, senza pensare che il
“ tanto peggio” non dà
incremento che alla guardia regia ed al
fascismo. (applausi).
Voi non intendete ancora che
questa ricostruzione, fatta dal proletariato con criteri proletari, per se
stesso e per tutti, sarà il miglior
passo, il miglior slancio, il piu’ saldo fondamento per la rivoluzione completa
di un giorno. Ed allora, in quella
noi trionferemo insieme. Io forse non vedrò quel giorno: troppa gente nuova è venuta che renderà aspra la
via, ma non importa. Maggioranza o minoranza non contano. fortuna di Congressi,
fortuna di uomini, tutto ciò è ridicolo di fronte alle necessità della
storia. Ciò che conta è la forza operante, quella forza per la quale io
vissi e nella cui fede onestamente morrò, eguale sempre a me
stesso. Io combattei per essa, io
combattei per il suo trionfo: e se trionferà
anche con voi, è perché questa
forza operante non è altro che il socialismo.
Ebbene – conclude con la
voce rotta dalla commozione Filippo
Turati -: EVVIVA IL Socialismo!
( Tranne i comunisti
secessionisti, tutti i delegati delle altre frazioni ripetono il grido e
tributano a Turati ripetute ovazioni, che lo accompagnano mentre egli dalla
tribuna si reca nel palco di proscenio
a destra, dove lo attendono Treves, Modigliani, D’Aragona, Buozzi,
Storchi e molti altri amici. Durante il breve tragitto egli riceve in finite strette di mano ed è piu’ volte abbracciato.
I comunisti secessionisti gridano
“ Viva la Russia! “ ).
da www.acraccademia.it
www.radioasso.it |
2 commenti:
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info@acraccademia.it
Un MEGA.. servizio, di Luciano per la preveggenza che ha avuto nel 1921.. Filippo TURATI un Vero Socialista come PERTINI! .. in memoria di mio padre un socialista come il suo grandissimo amico... Civennese Giuseppe COMINI.. detto "PRUCESS".. per via della sua grande abilità oratoria.. segretario della sezione Alpini di Civenna.. da.. Rio Merzario!
http://www.acraccademia.it/Il%20Triangolo%20Lariano%20pag%201.html
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